Io volevo raccontare esperienze di vita vissuta, semplici, quotidiane. Quelle che capitano ogni giorno attorno a noi e che io, troppo giovane per essere un boomer e troppo vecchio per qualsiasi altra categoria riconosciuta dal sistema, faccio sempre più fatica a capire.
La seconda scelta è stata il nome del diario. Volevo qualcosa di abbastanza attraente, ma senza sembrare troppo serioso o pretenzioso.
Avevo pensato a un titolo, poi subito scartato convinto che fosse già stato usato, abusato e declinato in mille varianti.
Invece lo trovo lì: bello, pulito, disponibile. Pronto per essere usato.
A quel punto mi sono detto: sarà per forza un segno del destino.
Il resto — come si dice nei racconti con pretese molto più alte di questo — è storia.
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